Letture e commento della XIV domenica del tempo ordinario

Ecco, come ogni settimana, le letture della S. Messa domenicale accompagnate da un commento di padre Ermes Ronchi (https://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=43567).

Prima Lettura   Ez 2, 2-5
Sono una genìa di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro.

Dal libro del profeta Ezechiele
In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.

Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”.

Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 122 
I nostri occhi sono rivolti al Signore.
 

A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni. 
 

Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi. 
 

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi. 

Seconda Lettura   2 Cor 12, 7-10
Mi vanterò delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.

A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

Canto al Vangelo   Cf Lc 4,18  
Alleluia, alleluia.
Lo Spirito del Signore è sopra di me: 
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.
Alleluia.

Vangelo   Mc 6, 1-6
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

 

Lo scandalo di vedere Dio come uno di noi

Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.

Missione che sembra un fallimento e invece si trasforma in una felice disseminazione: «percorreva i villaggi insegnando».

A Nazaret non è creduto e, annota il Vangelo, «non vi poté operare nessun prodigio»; ma subito si corregge: «solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il rifiutato non si arrende, si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L’amante respinto non si deprime, continua ad amare, anche pochi, anche uno solo. L’amore non è stanco: è solo stupito («e si meravigliava della loro incredulità»). Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, lui profuma di vita.

Dapprima la gente rimaneva ad ascoltare Gesù stupita. Come mai lo stupore si muta così rapidamente in scandalo? Probabilmente perché l’insegnamento di Gesù è totalmente nuovo. Gesù è l’inedito di Dio, l’inedito dell’uomo; è venuto a portare un «insegnamento nuovo» (Mc 1,27), a mettere la persona prima della legge, a capovolgere la logica del sacrificio, sacrificando se stesso. E chi è omologato alla vecchia religione non si riconosce nel profeta perché non si riconosce in quel Dio che viene annunciato, un Dio che fa grazia ad ogni figlio, sparge misericordia senza condizioni, fa nuove tutte le cose. La gente di casa, del villaggio, della patria (v.4) fanno proprio come noi, che amiamo andare in cerca di conferme a ciò che già pensiamo, ci nutriamo di ripetizioni e ridondanze, incapaci di pensare in altra luce.

E poi Gesù non parla come uno dei maestri d’Israele, con il loro linguaggio alto, “religioso”, ma adopera parole di casa, di terra, di orto, di lago, quelle di tutti i giorni. Racconta parabole laiche, che tutti possono capire, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione.

E allora dove è il sublime? Dove la grandezza e la gloria dell’Altissimo? Scandalizza l’umanità di Dio, la sua prossimità. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo: che Dio si incarna, entra dentro l’ordinarietà di ogni vita, abbraccia l’imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio sempre abbracciabile.

Nessun profeta è bene accolto nella sua casa. Perché non è facile accettare che un falegname qualunque, un operaio senza studi e senza cultura, pretenda di parlare da profeta, con una profezia laica, quotidiana, che si muove per botteghe e villaggi, fuori dal magistero ufficiale, che circola attraverso canali nuovi e impropri. Ma è proprio questa l’incarnazione perenne di uno Spirito che, come un vento carico di pollini di primavera, non sai da dove viene e dove va, ma riempie le vecchie forme e passa oltre.

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