VI domenica del tempo ordinario, letture e commento

Pubblichiamo, come di consueto, le letture della A. Messa domenicale, accompagnate da un commento, questa settimana a cura di padre Ermes Ronchi (https://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=14703)

Prima Lettura  Lv 13,1-2.45-46
Il lebbroso se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento. 

Dal libro del Levìtico
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. 
Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».
    

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 31
La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia.

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno. 

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato. 

Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia! 

Seconda Lettura  1 Cor 10,31 – 11,1
Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. 
Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. 

Canto al Vangelo    Lc 7,16
Alleluia, alleluia.

Un grande profeta è sorto tra noi, 
e Dio ha visitato il suo popolo. 
Alleluia.

  
Vangelo 
 Mc 1, 40-45
La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. 

 

Non ha nome né volto il leb­broso, perché è ogni uo­mo, voce di ogni creatura. Con tutta la discrezione di cui è ca­pace dice solo: se vuoi, puoi gua­rirmi. Il suo futuro è appeso ad un ‘sé seminato nel cuore di Dio.

A nome nostro il lebbroso chiede: che cosa vuole Dio per me? Cosa vuole da questa carne sfatta, da questo corpo piagato, da questi an­ni di dolore? Gli scribi di ogni epoca ripetono che il dolore è punizione per i pec­cati, o maestro di vita, o imper­scrutabile volontà di Dio. Per loro Giobbe è un caso teologico. Ma in quella teologia Dio è assente. La fede del lebbroso invece palpita: Dio è il Dio della compassione o non è!

Cosa vuoi per me? Quello che di­cono gli scribi o vuoi guarirmi? La svolta del racconto non è conte­nuta in una riflessione, ma in un verbo che indica l’essere preso al­lo stomaco, dice di una mano che ti stringe le viscere: provò com­passione. Per i sacerdoti il lebbro­so è un caso, per Gesù è una lama nella carne. Per gli scribi è un teo­rema, per lui è un fremito, che muove e genera gesti, che fa qua­si violenza alla mano, la fa stende­re, la fa toccare. La mano parla prima della voce, le dita sono più eloquenti delle pa­role: Gesù rompe i tabù, toccare il lebbroso è diventare impuro per la legge. Ma per lui l’uomo è sempre puro e vale più della legge. Una ca­rezza più della legge. È l’eloquen­za di toccare il male tremendo: da troppo tempo nessuno toccava più il lebbroso, per paura, per ribrez­zo, per obbedienza alla legge. E la sua carne moriva di solitudine, il suo cuore moriva di assenze.

La guarigione comincia quando qualcuno si avvicina e mi tocca con amore, mi parla da vicino, non ha paura, patisce con me. Il dolore non domanda spiegazioni, vuole partecipazione.

Sentirsi toccati è una delle espe­rienze più belle e vitali. Chi sa toc­carti davvero, chi sa sfiorare il tuo intimo di luce o di piaga, questi so­lo lascia tracce di vita, è il tuo gua­ritore.

La parola, una voce per esistere dentro il vuoto, viene dopo: lo vo­glio, guarisci! Eternamente Dio vuole figli guariti. A me, a Lazzaro, alla figlia di Giairo, alla suocera di Simone ripete: lo voglio, alzati, guarisci.

Dio è guarigione. Dal male di vive­re. Non ne conosco tutti i modi concreti, ma so per certo che non accadrà moltiplicando interventi miracolosi. Non conosco i tempi, ma so che egli rinnoverà battito su battito il cuore, stella su stella la notte. Con la compassione, con un gesto, con una voce – che toccano – una carezza – l’abisso del dolore.

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