Letture della XVI domenica del tempo ordinario

Pubblichiamo le letture domenicali, corredate da un commento di Padre Raniero Cantalamessa.

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Prima Lettura    Sap 12, 13. 16-19
Dopo i peccati, tu concedi il pentimento.

Dal libro della Sapienza
Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose,
perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto.
La tua forza infatti è il principio della giustizia,
e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti.
Mostri la tua forza
quando non si crede nella pienezza del tuo potere,
e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono.
Padrone della forza, tu giudichi con mitezza
e ci governi con molta indulgenza,
perché, quando vuoi, tu eserciti il potere.
Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo
che il giusto deve amare gli uomini,
e hai dato ai tuoi figli la buona speranza
che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.   

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 85
Tu sei buono, Signore, e perdoni.

Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi t’invoca.
Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce delle mie suppliche. 

Tutte le genti che hai creato verranno
e si prostreranno davanti a te, Signore,
per dare gloria al tuo nome.
Grande tu sei e compi meraviglie:
tu solo sei Dio.

Ma tu, Signore, Dio misericordioso e pietoso,
lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, 
volgiti a me e abbi pietà.

Seconda Lettura   Rm 8, 26-27
Lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio. 

Canto al Vangelo  Cf Mt 11,25
Alleluia, alleluia.

Ti rendo lode, Padre, 
Signore del cielo e della terra, 
perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno.
Alleluia.

   

   
Vangelo  Mt 13, 24-43  (Forma breve Mt 13,24-30)
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura.
 
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece ri! ponètelo nel mio granaio”».  ]
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Il grano e la zizzania

 

Con tre parabole Gesù traccia nel vangelo la situazione della Chiesa nel mondo. La parabola del granellino di senape che diventa un albero indica la crescita del regno di Dio sulla terra. Sulla bocca di Gesù questa era anche una ardita profezia. Chi poteva credere, in quel momento, che un messaggio predicato tra poveri pescatori di Galilea in villaggi sconosciuti al resto del mondo, avrebbe in poco tempo conquistato il mondo? Anche la parabola del lievito nella farina significa la crescita del Regno, non tanto però in estensione, quanto in intensità; indica la forza trasformatrice del vangelo che “solleva” la massa e la prepara a diventare pane.

 

Queste due parabole furono comprese facilmente dai discepoli, non così la terza, del grano e della zizzania, che Gesù fu costretto a spiegare loro a parte. Il seminatore disse era lui stesso, il seme buono, i figli del regno, il seme cattivo, i figli del maligno, il campo, il mondo e la mietitura, la fine del mondo.

“Il campo è il mondo”: questa frase, nell’antichità cristiana, fu oggetto di una memorabile disputa che è molto importante tener presente anche oggi. C’erano degli spiriti settari, i donatisti, che risolvevano la cosa in modo semplicistico. da parte, la Chiesa (la loro chiesa!) fatta tutta e solo di perfetti; dall’altra il mondo pieno di figli del maligno, senza speranza di salvezza. A essi si oppose S. Agostino: il campo è sì il mondo, ma è anche la chiesa; luogo in cui vivono a gomito a gomito santi e peccatori e in cui c’è spazio per crescere e convertirsi e soprattutto per imitare la pazienza di Dio. “I cattivi, diceva, esistono in questo modo p perché si convertano, o perché per mezzo di essi i buoni esercitino la pazienza”.

 

La pazienza di Dio: è questo forse il tema più importante della parabola. La liturgia lo sottolinea con la scelta della prima lettura che è un inno alla forza di Dio che si manifesta sotto forma di pazienza: “Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza, ci governi con indulgenza. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini; inoltre, hai reso i tuoi figli pieni di dolce speranza perché tu concedi, dopo i peccati, la possibilità di pentirsi”.

 

Quella di Dio, non è semplice pazienza, cioè un aspettare il giorno del giudizio per poi punire con più soddisfazione. E’ longanimità, misericordia, volontà di salvare. “Non sai, scrive san Paolo, che la pazienza di Dio ti spingi alla conversione?” (Rom 2, 4). egli è davvero, come canta il salmo responsoriale, “un Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore”.

 

Nel regno di Dio non vi è posto perciò per servi impazienti che non sanno far altro che invocare i castighi di Dio e indicargli di volta in volta chi deve colpire. Gesù un giorno rimproverò due discepoli che gli chiedevano di far piovere fuoco dal cielo su coloro che li avevano rifiutati.

 

Anche a noi è additata la pazienza del padrone del campo come modello. Dobbiamo aspettare la mietitura, ma non come quei servi a stento trattenuti, con la falce in pugno, quasi fossimo ansiosi di vedere la faccia dei malvagi nel giorno del giudizio. Neppure rimanendo a braccia conserte e senza far niente, ma anzi lavorando con impegno a cambiare noi stessi e, per quanto ci è possibile, gli altri da zizzania in buon grano.

 

E’ un appello all’umiltà e alla misericordia che si sprigiona dalla parabola evangelica del grano e della zizzania che possiamo mettere in pratica ogni giorno. Se c’è qualcuno che ha sbagliato che non veda i nostri occhi, al prossimo incontro, senza leggervi che siamo con loro, che non li condanniamo più perché la parola di Cristo ci ha fatto cadere la falce dalla mano.

 

Tutti noi siamo grano e zizzania nello stesso tempo, un misto di bene e di lame, di luce e di tenebre, di carne e di spirito. Uno solo è stato solamente grano senza zizzania, cioè senza peccato: è quel chicco di grano che un giorno cadde in terra, morì e fu sepolto. Nell’Eucaristia quel chicco, divenuto pane, viene a noi per farci “frumento di Dio” .

 

La parabola del grano e della zizzania si presta a una riflessione di più ampio respiro. Uno dei più forti motivi d’imbarazzo per i credenti e di rifiuto di Dio per i non credenti è stato sempre il “disordine” che c’è nel mondo. Il libro biblico del Qoelet che tante volte si fa portavoce delle ragioni dei dubbiosi e degli scettici, notava: “Tutto succede del pari al giusto e all’empio…Sotto il sole al posto del diritto c’è l’iniquità e al posto della giustizia c’è l’empietà” (Qo 3, 16; 9,2). In tutti i tempi si è vista l’iniquità trionfante e l’innocenza umiliata. “Ma ?notava il grande oratore Bossuet ? perché non si creda che al mondo c’è qualcosa di fisso e di sicuro, ecco che talvolta si vede il contrario e cioè l’innocenza sul trono e l’iniquità sul patibolo”.

 

La risposta a questo scandalo l’aveva già trovata l’autore del Qoelet: “Allora ho pensato: Dio giudicherà il giusto e l’empio, perché c’è un tempo per ogni cosa e per ogni azione” (Qo 3, 17). E’ quello che Gesù nella parabola chiama “il tempo della mietitura”. Si tratta, in altre parole, di trovare il punto di osservazione giusto di fronte alla realtà, di vedere le cose alla luce dell’eternità, sub specie aeternitatis. Avviene come in certi quadri moderni che, visti da vicino, sembrano una accozzaglia di colori senza ordine né significato, ma osservati dalla distanza giusta rivelano un disegno preciso e potente.

 

Anche in questo caso non si tratta di rimanere passivi e in attesa di fronte al male e all’ingiustizia, ma di lottare con tutti i mezzi leciti per promuovere la giustizia e reprimere l’iniquità e la violenza. A questo sforzo, che è di tutti gli uomini di buona volontà, la fede aggiunge un aiuto e un sostegno d’inestimabile valore: la certezza che la vittoria finale non sarà dell’ingiustizia e della prepotenza ma dell’innocenza. In altre parole, la speranza.

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