4a domenica di Avvento

Letture e commento della 4a domenica di Avvento, a cura di Padre Raniero Cantalamessa (http://www.cantalamessa.org/?p=3446)

Prima Lettura  2 Sam 7, 1-5.8b-12.14a.16
Il regno di Davide sarà saldo per sempre davanti al Signore.
 
Dal secondo libro di Samuèle.
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». 
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. 
Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. 
La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”». 
    
Salmo Responsoriale  Dal Salmo 88
Canterò per sempre l’amore del Signore.
    

Canterò in eterno l’amore del Signore,
di generazione in generazione 
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà». 

«Ho stretto un’alleanza con il mio eletto,
ho giurato a Davide, mio servo.
Stabilirò per sempre la tua discendenza,
di generazione in generazione edificherò il tuo trono». 

«Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre,
mio Dio e roccia della mia salvezza”.
Gli conserverò sempre il mio amore,
la mia alleanza gli sarà fedele».

 
Seconda Lettura  Rm 16, 25-27
Il mistero avvolto nel silenzio per secoli, ora è manifestato.
  
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, 
a colui che ha il potere di confermarvi
nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero, 
avvolto nel silenzio per secoli eterni,
ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,
per ordine dell’eterno Dio,
annunciato a tutte le genti
perché giungano all’obbedienza della fede,
a Dio, che solo è sapiente,
per mezzo di Gesù Cristo,
la gloria nei secoli. Amen. 
  
Canto al Vangelo   Lc 1,38
Alleluia, alleluia.
Eccomi, sono la serva del Signore:
avvenga di me quello che hai detto.
Alleluia.
   

   
Vangelo
  Lc 1, 26-38
Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
 
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». 
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. 

C’è una progressione nella liturgia dell’Avvento. Nella prima settimana, la figura dominante è Isaia, il profeta che annunciò la venuta del Messia da lontano; nella seconda e nella terza settimana, è Giovanni Battista, il precursore che addita il Messia presente; nella quarta settimana, la figura centrale, la guida spirituale è Maria, la Madre che dà alla luce il Messia.
Il brano evangelico comincia con le parole famigliari: “L’angelo del Signore fu mandato a una città della Galilea, chiamata Nazaret”. Come al solito, però, noi dobbiamo concentrarci su un punto e questo punto sono le parole che Maria pronuncia alla fine di tutto:

“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.

Con queste parole Maria ha fatto il suo atto di fede. Ha creduto, ha accolto Dio nella sua vita, si è affidata a Dio. Con quella sua risposta all’angelo, è come se Maria avesse detto: “Eccomi, sono come una tavoletta incerata: Dio scriva su di me tutto ciò che vuole”. Nell’antichità si scriveva su tavolette incerate; noi oggi diremmo: “Sono un foglio di carta bianca: Dio scriva pure su di me tutto quello che vuole”.
Si potrebbe pensare che quella di Maria fu una fede facile. Diventare la madre del Messia: non era questo il sogno di ogni fanciulla ebrea? Ma ci sbagliamo di grosso. Quello è stato l’atto di fede più difficile della storia. A chi può spiegare Maria ciò che è avvenuto in lei? Chi le crederà quando dirà che il bimbo che porta in grembo è “opera dello Spirito Santo”? Questa cosa non è successa mai prima di lei, non succederà mai dopo di lei. Il filosofo Kierkegaard diceva che credere è come “inoltrarsi per una strada dove tutti i cartelli indicatori dicono: Indietro, indietro!; è come venirsi a trovare in mare aperto, là dove ci sono settanta stadi di profondità sotto di te; è compiere un atto tale che per esso uno si viene a trovare completamente gettato in braccio all’Assoluto”. Così è stato davvero per Maria. Ella si è venuta a trovare in una totale solitudine, senza nessun altro con cui parlare che Dio.
Maria conosceva bene ciò che era scritto nella legge mosaica. Una ragazza che il giorno delle nozze non fosse stata trovata in stato di verginità, doveva essere portata immediatamente davanti all’uscio della casa paterna e lapidata (cfr. Deuteronomio 22, 20 s.). Maria sì che ha conosciuto “il rischio della fede”! Carlo Carretto, che trascorse diversi anni nel deserto, narra questo episodio. Tra un gruppo di Tuareg di passaggio aveva conosciuto un giorno una ragazza “sposata” a un giovane, ma che, secondo il costume, non viveva ancora con lui come sua moglie. Gli ricordò Maria quando era anche lei promessa sposa a Giuseppe, ma non ancora andata a vivere con lui. Dopo diverso tempo, incontrò di nuovo gente di quella tribù e chiese che ne era di quella ragazza. Notò un silenzio imbarazzato; poi qualcuno gli si avvicinò in disparte e fece un gesto significativo: si passò la mano sotto il mento. Sgozzata! Il giorno delle nozze si scoprì che non era vergine. Di colpo, scrive Carretto, capii Maria: gli sguardi impietosi della gente di Nazaret, gli ammiccamenti; capii la sua solitudine, e quella sera stessa la scelsi per sempre come mia maestra di fede e compagna di vita.
La fede di Maria non è consistita nel fatto che ha dato il suo assenso a un certo numero di verità, come quando noi recitiamo il nostro Credo. È consistita nel fatto che si è fidata di Dio, si è completamente rimessa a lui. Ha accolto Dio nella sua vita. Ha detto il suo “fiat”, a occhi chiusi. Ha creduto che “nulla è impossibile a Dio”.
Veramente, Maria non ha mai detto “fiat”. Fiat è una parola latina e Maria non parlava latino e neppure greco. Cosa avrà detto in quel momento, quale parola sarà uscita dalle sue labbra? Si tratta di una parola che tutti, senza forse saperlo, conosciamo e ripetiamo spesso. Ha detto “amen”. Amen era la parola con cui un ebreo esprimeva il suo assenso a Dio. Insieme con Abba, Maranatha, questa è una delle poche parole che i cristiani non hanno osato tradurre, ma che hanno conservato nella lingua in cui le avevano pronunciate Maria e Gesù. Con questa parolina si dicono tante cose: “Se così piace a te, Signore, così voglio anch’io”. È come il “sì” totale e gioioso che la sposa dice allo sposo, il giorno delle nozze.
Maria non ha dato il suo assenso con mesta rassegnazione, come chi dice tra sé: “Se proprio non si può fare a meno, ebbene, si faccia la volontà di Dio”. Il verbo messo in bocca alla Madonna dall’evangelista (genoito) è all’ottativo, un modo che, in greco, si usa per esprimere gioia, desiderio, impazienza che una certa cosa avvenga. Che sia stato il momento più felice della vita di Maria, lo deduciamo anche dal fatto che Maria, subito dopo, intona il Magnificat: “Il mio spirito esulta in Dio”. Esulta, cioè tripudia, scoppia di felicità. La fede fa felici, credere è bello! È il momento in cui la creatura realizza lo scopo per cui è stata creata libera e intelligente.
Ma proprio questo è quello che l’uomo d’oggi trova difficile e che mantiene tanti nella incredulità. Dire amen, sì, a qualcuno, fosse pure Dio, si ritiene sia lesivo della propria libertà e indipendenza. Dissentire, non consentire, sembra essere la parola d’ordine; in tutti gli ambiti: politico, culturale, sociale, familiare.
Ma qual è l’alternativa? Il pensiero moderno, partito da queste premesse, è arrivato poi, per conto suo, alla conclusione che dire “amen” nella vita bisogna, è inevitabile. E, se non lo si dice a Dio, bisogna dirlo a qualcos’altro: al fato, al destino. L’uomo non ha altro mezzo per rendere autentica la propria esistenza che accettare il suo destino che è fissato per sempre dalla storia e dalla società cui appartiene. Esistenza autentica è “vivere per la morte” (Heidegger). La famosa libertà che si cercava si riduce a… fare di necessità virtù, a inevitabile rassegnazione. “L’amore del fato: questo sia d’ora in poi il mio amore”, ha scritto uno di questi filosofi, Nietzsche.
Ma lasciamo da parte gli altri, i non credenti, e anzi rispettiamo la loro libertà di coscienza. La fede è il segreto per fare un vero Natale e spieghiamo in che senso. Sant’Agostino ha detto che “Maria ha concepito per fede e ha partorito per fede”; anzi, che “concepì Cristo prima nel cuore che nel corpo”. Noi non possiamo imitare Maria nel concepire e dare alla luce fisicamente Gesù; possiamo e dobbiamo, invece, imitarla nel concepirlo e darlo alla luce spiritualmente, mediante la fede. Credere è “concepire”, è dare carne alla parola. Ce lo assicura Gesù stesso, dicendo che chi accoglie la sua parola diventa per lui “fratello, sorella e madre” (cfr. Marco 3, 33).
Vediamo dunque come si fa a concepire e dare alla luce Cristo. Concepisce Cristo la persona che prende la decisione di cambiare condotta, di dare una svolta alla sua vita. Dà alla luce Gesù la persona che, dopo aver preso quella risoluzione, la traduce in atto con qualche cambiamento concreto e visibile nella sua vita e nelle sue abitudini. Per esempio, se bestemmiava, non bestemmia più; se aveva una relazione illecita, la tronca; se coltivava un rancore, fa la pace; se non si accostava mai ai sacramenti, vi ritorna; se era impaziente in casa, cerca di mostrarsi più comprensivo, e così via.
Nel mettersi a tavola per l’ultima cena, Gesù disse: “Ho desiderato ardentemente celebrare questa Pasqua con voi”. Ora dice forse lo stesso del Natale: “Ho desiderato ardentemente celebrare questo Natale con voi”. Questo Natale che ha per presepio e culla il cuore e che non si celebra fuori, ma dentro.
La conclusione pratica di questa nostra riflessione è dire anche noi a Dio un bel amen, sì, nella situazione in cui, in questo momento, ci troviamo. Se vogliamo essere ancora più vicini a Maria, usiamo le sue stesse parole e diciamo: “Eccomi, sono la serva (o il servo) del Signore: si faccia di me secondo la tua parola”.
Che cosa porteremo in dono quest’anno al Bambino che nasce? Sarebbe strano che facessimo regali a tutti, eccetto che al festeggiato. Una preghiera della liturgia ortodossa ci suggerisce un’idea meravigliosa: “Che cosa ti possiamo offrire, o Cristo, in cambio di esserti fatto uomo per noi? Ogni creatura ti reca la testimonianza della sua gratitudine: gli angeli il loro canto, i cieli la stella, i Magi i doni, i pastori l’adorazione, la terra una grotta, il deserto la mangiatoia. Ma noi, noi ti offriamo una Madre Vergine!”.
Noi, cioè l’umanità intera, ti offriamo Maria!

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