Commento alle letture della XXX domenica del tempo ordinario

Come ogni settimana, le letture della domenica ed un commento a cura di Padre Raniero Cantalamessa (https://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=13907)

Prima Lettura  Es 22,20-26
Se maltratterete la vedova e l’orfano, la mia collera si accenderà contro di voi.

Dal libro dell’Èsodo
Così dice il Signore: 
«Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.
Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani.
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso». 

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 17
Ti amo, Signore, mia forza.

Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia, 
mia fortezza, mio liberatore.

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie, 
si mostra fedele al suo consacrato. 

Seconda Lettura
  1 Ts 1,5c-10
Vi siete convertiti dagli idoli, per servire Dio e attendere il suo Figlio.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési 
Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia. 
Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedònia e in Acàia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. 
Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

Canto al Vangelo  Gv 14,23
Alleluia, alleluia.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia.

   

Vangelo  Mt 22,34-40
Amerai il Signore tuo
 Dio, e il tuo prossimo come te stesso.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

“Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Aggiungendo le parole “come te stesso!”, Gesù ci ha messi davanti uno specchio al quale non possiamo mentire; ci ha dato un metro infallibile per scoprire se amiamo o no il prossimo. Noi sappiamo benissimo, in ogni circostanza, cosa significa amare noi stessi e cosa vorremmo che gli altri facessero per noi. Gesù non dice, si badi bene: “Quello che l’altro fa a te, tu fallo a lui”. Questo sarebbe ancora la legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente”. Dice: quello che tu vorresti che l’altro facesse a te, tu fallo a lui (cf. Mt 7,12), che è ben diverso.

Gesù considerava l’amore del prossimo come il “suo comandamento”, quello in cui si riassume tutta la Legge. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12). Molti identificano l’intero cristianesimo con il precetto dell’amore del prossimo, e non hanno del tutto torto. Dobbiamo però cercare di andare un po’ oltre la superficie delle cose. Quando si parla di amore del prossimo il pensiero va subito alle “opere” di carità, alle cose che bisogna fare per il prossimo: dargli da mangiare, da bere, visitarlo; insomma aiutare il prossimo. Ma questo è un effetto dell’amore, non è ancora l’amore. Prima della beneficenza viene la benevolenza; prima che fare il bene, viene il volere bene.

La carità deve essere “senza finzioni”, cioè sincera (alla lettera, “senza ipocrisia”) (Rom 12, 9); si deve amare “di vero cuore” (1 Pt 1,22). Si può infatti fare la carità e l’elemosina per molti motivi che non hanno nulla a che vedere con l’amore: per farsi belli, per passare da benefattori, per guadagnarsi il paradiso, perfino per rimorso di coscienza. Molta carità che facciamo ai paesi del terzo mondo, non è dettata da amore, ma da rimorso. Ci rendiamo infatti conto della differenza scandalosa che esiste tra noi e loro e ci sentiamo in parte responsabili della loro miseria. Si può mancare di carità, anche nel “fare la carità”!

È chiaro che sarebbe un errore fatale contrapporre tra di loro l’amore del cuore e la carità dei fatti, o rifugiarsi nelle buone disposizioni interiori verso gli altri, per trovare in ciò una scusa alla propria mancanza di carità fattiva e concreta. Se tu incontri un povero affamato e intirizzito dal freddo, diceva san Giacomo, a che gli giova se gli dici: “Poveretto, va’, scaldati, mangia qualcosa!”, ma non gli dai nulla di ciò di cui ha bisogno? “Figlioli, aggiunge l’evangelista Giovanni, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1 Gv 3,18). Non si tratta dunque di svalutare le opere esteriori di carità, ma di far sì che esse abbiamo il loro fondamento in un genuino sentimento di amore e benevolenza.

Questa carità del cuore o interiore è la carità che tutti e sempre possiamo esercitare, è universale. Non è una carità che alcuni -i ricchi e i sani- possono solo dare e gli altri -i poveri e i malati- solo ricevere. Tutti possono farla e riceverla. Inoltre è concretissima. Si tratta di cominciare a guardare con occhio nuovo le situazioni e le persone con cui ci troviamo a vivere. Quale occhio? Ma è semplice: l’occhio con cui vorremmo che Dio guardasse noi! Occhio di scusa, di benevolenza, di comprensione, di perdono…

Quando questo avviene, tutti i rapporti cambiano. Cadono, come per miracolo, tutti i motivi di prevenzione e di ostilità che impedivano di amare una certa persona e questa comincia ad apparirci per quello che è nella realtà: una povera creatura umana che soffre per le sue debolezze e i suoi limiti, come te, come tutti. È come se la maschera che gli uomini e le cose hanno posto sul suo volto venisse a cadere e la persona ci apparisse per quello che è veramente.

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